*Attenzione: il termine dialetto e il termine vernacolo sono sinonimi. L’uso di vernacolo in luogo di dialetto è convenzionalmente attribuito ai dialetti toscani, ma da un punto di vista linguistico è privo di significato.

PREMESSA
Il dialetto di San Mommè, piccola frazione del Comune di Pistoia, sorge a poca distanza dal crinale appenninico (Valli dell’Ombrone Pistoiese, delle Limentre e del Reno) e dalla cosiddetta frontiera linguistica La Spezia – Rimini. La conoscenza di questo dialetto è quindi essenziale per chiunque sia interessato alla conoscenza dei dialetti marginali della Toscana. Il dialetto sammommeano merita di essere conosciuto anche perchè rappresenta un caso assai interessante di vernacolo rustico pistoiese.

GORGIA TOSCANA
Innanzitutto chiariamo cosa s’intende per “gorgia toscana”: “Per “gorgia toscana” s’intende quel singolare fenomeno di aspirazione che in Toscana ha colpito le consonanti sorde “k” [e cioè la “c” di casa], “p”, “t” in posizione intervocalica … per esempio: “amiha”, “andatho”. La stessa mutazione consonantica si verifica all’inizio di parola, quando per lo stretto rapporto sintattico la consonante viene a trovarsi fra le due vocali: “la hasa”, “la therra”. Non avviene aspirazione in posizione iniziale assoluta (“Carlo”, “partiamo”, “taci”)” (G. ROHLFS, Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Sansoni, Firenze, 1997, p. 161). Nella quasi totalità della provincia di Pistoia il fenomeno dell’aspirazione consonantica è limitato alla sola “k”, mentre risulta sconoscita l’aspirazione di “p” e “t” (cfr. G. ROHLFS, Op. cit., p. 162). Pertanto l’aspirazione consonantica pistoiese riguarda solamente la “c” dura, a condizione però, “che essa si trovi tra due vocali, di cui l’anteriore non sia accentata, perché preceduta da consonante o da vocale accentata la C dura ha il suono duro del K” (G. NERUCCI, Cincelle da bambini nella stietta parlatura rustica di Montale Pistoiese, Tipografia Rossetti, Pistoia 1880, p. 6).
Il dialetto di San Mommè, probabilmente per la sua vicinanza con le contigue valli del Reno e del Limentra Occidentale, si presenta (come a Pracchia) in una forma particolare: “focho” anziché “foho” (italiano “fuoco”), “ficho” per “fiho”, “amicho” per “amiho”, dove il gruppo “ch” va pronunciato come nelle parole tedesche J.S. Bach, machen, nicht (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti – Fonetica,Torino, Einaudi, 1999, p. 266).
Tuttavia, come in altre località del pistoiese, anche a San Mommè non è difficile assistere al dileguo della aspirazione in “k” con il risultato di ottenere non “bria(c)ho”, ma “briao”.

FRICATIVA PREPALATALE SORDA
La fricativa prepalatale sorda è quel particolare suono “sc” che colpisce “ce” e “ci” purché non iniziali. Quando questi suoni si presentano ad inizio parola, infatti, rimangono come in italiano (es: cinema), ma all’interno della parola invece mutano e diventano sibilanti (bascio, cascio, pasce). Affine a questo suono appare la particolare “g” di parole come frugiata e stagione che vengono lette quasi “frusgiata” e “stasgione”.
L’evoluzione in chiave settentrionale dei suoni “sc” e “g” di queste parole ha portato, nelle vicine valli del Reno e delle Limentra, alla fricativa prepalatale sonora “sg” (pasge, casgio).

AFFRICAZIONE PISTOIESE
La pronuncia pistoiese, diversamente dal fiorentino, presenta il fenomeno dell’affricazione della “s” che, dopo n, r, l, viene pronunciata z (es: il zole, il zale e l’inzalata). Tale pronuncia è presente anche nel dialetto di San Mommè, mentre risulta quasi assente nel vicino comune di Sambuca Pistoiese (una delle rare eccezioni in terra sambucana è offerta dal toponimo Pian degli Orzi tra la Sambuca e Treppio (cfr. AA.VV., “Dizionario Toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 1993, p. 132).

SCEMPIAMENTO CONSONANTICO DI “RR” INTERVOCALICO
Come la maggior parte dei dialetti pistoiesi anche il sammommeano presenta la degimazione consonantica di “-rr-” di possibile influsso settentrionale (es: tera anziché terra).
Eccezionalmente la geminata “-rr-” invece si mantiene trasformandosi, per lambdacizzazione, in “-ll-” (es: ramallo). I due fenomeni sono presenti anche nei territori emiliani della vicina valle del Reno (es: Stagno, Badi).

RIDUZIONE DEL DITTONGO “UO” IN “O”
Come il dialetto fiorentino e il pistoiese, anche il dialetto di San Mommè presenta la riduzione del dittongo “uo” ad “o” (es: fo(c)ho anziché fuoco).
Diversamente dai dialetti dell’Alto Appennino Pistoiese (lagaccese, antico pracchiese, sambucano, pavanese), invece, la “e” breve del latino non si trasforma in “e” chiusa (es: lagaccese méle), ma passa, come in toscano e in italiano, al dittongo “ie” (miele).

INVERSIONE DELLE LIQUIDE
Diversamente dal pistoiese il sammommeano non presenta l’inversione delle liquide (l > r, r >l). Quindi avremo arido e non alido, volpe e non vorpe, etc.

SVILUPPO DEL NESSO LATINO “GL-” INIZIALE
E’ noto che in Toscana lo sviluppo del nesso latino “gl” ha dato luogo alle forme “gh” (“ghiro”, “ghianda”, etc.). Tuttavia nelle province di Lucca, Pistoia, Pisa l’occlusione palatale del suono “ghi” si è andata talvolta avvicinando ad una occlusione dentale con il risultato di risultare simile a “d”. Anche il dialetto sammommeano non fa eccezione come dimostra il caso di “diaccio” per ghiaccio.

PROSTESI VOCALICA
I dialetti pistoiesi, per influsso dei vicini dialetti settentrionali, presentano un fenomeno di recupero vocalico (la prostesi vocalica) per parole come arricordare, arcipresso, etc. Tale fenomeno risulta invece sconosciuto al dialetto sammommeano, con la sola eccezione di arfasatto (> uno che fa le cose senza pensare). La voce tuttavia è importata: “portata su da’ pistoiesi quando princiaparono a venir d’estate” secondo la testimonianza degli anziani del paese.

DISSIMILAZIONE DI “MM”
Nel dialetto sammommeano, come nei dialetti pistoiesi o influenzati dal pistoiese (es: il dialetto di Badi nel bolognese) risultano presenti parole come cambera che testimoniano influssi di tipo settentrionale.
“A questo si aggiunge l’altro fenomeno (anche questo ora scomparso nelle nuove generazioni) che colpisce le parole proparossitone come “càmera” detta “càmbera”, “sémola” detta “sembola”, “prezzémolo” detto “prezzembolo”, “Làmole” pronunziato “Lambore”, “Gombito” per “gomito”, “Cendere” per “cenere”, “Rombice e Rombiciaio” per “romice e romiciaio” tutt’ora riscontrato nell’area più marginale della Garfagnana. È un fenomeno di dissimilazione della geminata MM in MB attraverso il passaggio CAMERA < CAMMERA > CAMBERA, ecc. e rappresenta la fase iniziale dell’eliminazione dei proparossitoni ereditati dal Latino in area soggetta ad influssi gallici; in effetti è uno di quegli strumenti di cui si sono serviti il Provenzale ed il Francese, ed i dialetti da loro influenzati, per l’eliminazione del ritmo proparossitono (CAMERA > chambre in Francia; LAMULA > Lambro attraverso la fase Làmboro nell’ Italia settentrionale ecc.)”
(G. JORI, “IL LINGUAGGIO DELLA MONTAGNA ALTA DI PISTOIA”, in http://groups.msn.com/ALTORENOTOSCANO/dialettipistoiesi.msnw)
Da notare che la forma bolognese è “nb” e non “mb” (bolognese “cuconbra” e pistoiese “cocombero”) . I vicini dialetti altorenani seguono, dunque, l’esempio toscano e non felsineo (es: pavanese “cocombara”).
Il caso “dondola” per “donnola”, invece, può essere spiegato nel modo che segue:
“Nel caso che m, n, l, o s si uniscano con una l o una r seguente, di regola fra i due suoni se ne inserisce uno di transizione (d oppure b) Il suono di transizione può conservarsi anche se fra le consonanti è rimasta conservata una vocale” (G. ROHLFS, “Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti – Fonetica”, Einaudi, Torino, 1999, p. 382).

“E” PARAGOGICA IN POSIZIONE FINALE
I dialetti toscani antichi tendevono ad evitare le forme ossitone (portò, uscì, etc.) attraverso l’epitesi di “-e” (portòe, uscìe). Questo fenomeno è dovuto alla necessità di rendere omogenea la struttura delle parole. Nella lingua toscana (come, peraltro, in italiano) le forme parossitone (e cioè piane) sono prevalenti, mentre quelle ossitone nettamente minoritarie: l’uso della e paragocica permette così di riportare le parole ossitone alla struttura accentuale più diffusa, cioè quella parossitona (portòe, etc.).
Attualmente solo le parlate popolari mantengono questa sorta di “vocale di ripercussione”, ma quasi sempre soltanto quando la parola compare isolata o alla fine della frase (es: pistoiese “parto mercoledìe”). Il dialetto sammommeano non pare fare eccezione, come risulta dall’uso di “sìe” e “nòe” rispettivamente per si e no.

SUFFISSAZIONE
Diversamente dal pistoiese e dal lucchese il dialetto sammommeano presenta raramente i suffissi e desinenze del tipo “-onno” (alle forme lavoronno, andonno, pur presenti nel dialetto locale, si preferiscono andiedero e lavoriedero ), “-otto” (es: “maialotto” e “ciliegiotto” (> ciliegio piccolo che non rende) sono parole ricordate solamente dai molto anziani). Molto rappresentata è invece la suffisazione in “-olo” (conigliolo, formicola, ragnolo etc.), quest’ultima suffissazione risulta ampiamente presente in tutti i dialetti di tipo pistoiese, compresi buona parte dei dialetti “emiliani” della vicina Valle del Reno.

LA NEGAZIONE
Il dialetto sammommeano, come la maggior parte dei dialetti della regione, è un dialetto italo – romanzo, ma non immune da alcuni imprestiti galloromanzi provenienti dal Nord Italia. La negazione, così, può presentarsi in forma semplice o ridondante.
La negazione semplice riserva alla negazione il posto precedente al verbo (italiano: non lo so).
La negazione ridondante prevede, invece, la presenza una seconda parte di negazione (francese: je ne sais pas, bolognese: an al so briisa). Il sammommeano, come il fiorentino e il pistoiese, al contrario prevede sia la forma semplice (non lo so) che ridondante (non lo so mica).

PRONOMINALIZZAZIONE OBBLIGATORIA DEL SOGGETTO
Tra i prestiti galloromanzi presenti nei vari dialetti toscani, compreso il sammommeano, è presente la pronominalizzazione obbligatoria del soggetto (la pronominalizzazione obbligatoria del soggetto non è prevista, invece, nell’italiano). Come è noto la maggior parte delle lingue neolatine (dette anche romanze) non prevedono che il soggetto sia sempre espresso. In italiano si può, infatti, dire: “E’ venuto Pietro. Sta bene”; in Spagnolo “Ha venido Pedro. Està Bien”. Ma questo non vale per le lingue galloromanze (francese, francoprovenzale, occitano, dialetti settentrionali) che prevedono la pronominalizzazione obbligatoria. In francese, ad esempio, si deve dire: “Pierre est venu. Il se porte bien”. Sia in francese che nei dialetti settentrionali (compreso il toscano) il pronome personale è del tipo detto clitico e può essere semplice (francese “quand tu dis”) o reduplicato (francese “tois tu dis”). Nel caso del sammommeano la forma semplice è svolta da “tu” (“quando tu dici”), mentre la forma reduplicata è del tipo “te tu” (“te tu dici”). Le forme italiane, ovviamente, sono “quando dici” e “tu dici”.

NUMERALI
Come in italiano a parte alcune differenze nella pronuncia (es: tredisci e non tredici).

INFINITO
Diversamente dal dialetto pistoiese il dialetto sammommeano non prevede l’apocope dell’infinito (quindi mangiare e non mangià, dormire e non dormì). Così le persone che vengono dalla valle della Nievole vengono canzonate con il proverbiale “il re non esiste”, appunto perché in quella valle, a differenza di San Mommè, ogni verbo all’infinito viene detto senza il “-re” finale.

INDICATIVO PRESENTE
Al fine di valutare il grado di toscanità del dialetto sammommeano proponiamo un confronto col dialetto di Montale Pistoiese e col dialetto bolognese.

SAMMOMMEANO MONTALESE BOLOGNESE
io vado io vo’ i’ vòe, vò a vaag
tu vai te vai tene vai t vè
egli va lui va e’ vae al và
noi andiamo noi si va, noi andiamo no’ si vae anden
voi andate voi andate, voi ite vo’ ite andè
essi vanno loro vanno e’ vanno i van

RADDOPPIO SINTATTICO
Il dialetto sammommeano, come gran parte dei dialetti toscani, prevede il raddoppio sintattico (es: “un z’é ddeciso nulla”). Il raddoppio sintattico, invece, risulta ridotto a pochissimi casi nei dialetti norditaliani.

USO DEL PRONOME PROCLITICO “IO”
A differenza dei dialetti delle vicine Valli delle Limentre e del Reno, e diversamente anche da altri dialetti pistoiesi (ad esempio il dialetto di Montale). Non risulta presente, come forma proclitica della prima persona singolare, l’antico toscano “i” (cfr. G. ROHLFS, “Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti – Morfologia”, Einaudi, Torino, 1998, p. 140), sostituito dall’italiano “io”.

DISTINZIONE DEL GENERE
Come la gran parte dei dialetti rustici anche il dialetto sammommeano presenta la differenziazione del genere maschile / femminile per gli animali domestici (es: becco (maschio) / capra (femmina)).

CARATTERISTICHE “NEGATIVE” DEL SAMMOMMEANO
Prima di passare al lessico riassumiamo alcune caratteristiche negative (ovviamente non in senso dispregiativo) del sammommeano comuni con il pistoiese:
1) il sammommeano non presenta i suoni cacuminali (L > D, -ll- > d). I suoni cacuminali (del tipo “gado” per gallo, “datte” per latte) sono presenti solo in poche aree della Toscana marginale a contatto con il Settentrione (il comprensorio apuano – garfagnino e, in provincia di Pistoia, l’antico treppiese);
2) il sammommeano non presenta il possessivo enclitico (mammeta, babbeta, zieta). Il possessivo enclitico era una caratteristica dell’antica lingua toscana, ma oggi sopravvive solo in poche aree marginali (isola d’Elba, antico treppiese e comprensorio apuano – garfagnino);
3) il sammommeano, infine, non presenta il passaggio dei nessi -gl a -ggh (paglia > pagghia, moglie > mogghie, etc.). Il fenomeno dell’affricazione mediopalatale, al contrario, è molto diffuso nelle parlate rustiche toscane risultando presente non solo nel comprensorio apuano – garfagnino, ma in una area compatta grosso modo corrispondente al territorio storicamente fiorentino (fin quasi all’ansa dell’Arno, in tutto il Chianti, la bassa Valdelsa ecc., l’area pratese cui Montale Pistoiese di fatto si aggrega) e Treppio. Lo sviluppo garfagnino dovrebbe, tuttavia, essere indipendente (non c’è motivo di credere che Lucca e la zona di San Marcello, la media valle del Serchio/val di Lima abbiano mai avuto il fenomeno, non abbiamo evidenze è – a quanto ci risulti – indizi).

LESSICO
Il lessico sammomeano, a differenza, dei dialetti delle vicine località toscane della Valle del Reno e del Limentra non pare presentare prestiti galloromanzi (es: il pracchiese, sambucano, pavanese “raggia” per rovo (bolognese raaza) è sostituito da pruno).

SOSTRATO E SUPERSTRATO
Anche il sammommeano, come tutte (o quasi tutte) le lingue e i dialetti della penisola italiana, è una continuazione originale e peculiare della lingua latina. Le sue differenze rispetto ad una diversa varietà linguistica (ad esempio il bolognese o il napoletano) sono da ricercarsi nei differenti sostrati, adstrati e superstrati.
Per “sostrato” intendiamo i relitti linguistici delle lingue “alle quali il Latino si venne sovrapponendo nella sua espansione storica, con ‘adstrato’ intendiamo le lingue vicine territorialmente, alle quali il Latino non si sovrappose, e con ‘soprastrato’ o meglio ‘superstrato’ le lingue dei popoli che vennero ad abitare, spesso come dominatori e padroni, nei territori linguisticamente romanizzati” (C. TAGLIAVINI, “Le origini delle Lingue Neolatine”; Patron Editore, Bologna, 1999, p. 268).
Nel caso del dialetto sammomeano l’ambito della nostra ricerca si può limitare ai soli sostrato e superstrato. Il sostrato del sammommeano, data la storia dell’appennino pistoiese, dovrebbe ragionevolmente essere ricercato nell’antica lingua Ligure (un antico idioma mediterraneo anario) piuttosto che nel celtico o nell’etrusco, mentre il superstrato deve sicuramente essere ricercato nella lingua longobarda (una popolazione germanica forse originaria della Scandinavia).
Poiché sappiamo che il sostrato può manifestarsi, oltre che con relitti lessicali, anche per mezzo di tendenze fonetiche e morfologiche non dovremo stupirci di trovare tra i vari esiti linguistici del sammomeano qualche traccia “ligure”.
Viceversa, poiché l’influsso delle lingue che formano gli adstrati e i superstrati si limita, per lo più, al lessico e molto raramente intacca la fonetica e la morfologia, è nel campo lessicale e toponomastico che dobbiamo trovare le tracce della lingua longobarda.
Nella nostra pur sommaria ricognizione del dialetto di San Mommè ci pare di riscontrare nell’uso frequente del suffisso -olo / -ola un esempio di sostrato ligure (cfr. N. RAUTY, “Storia di Pistoia”, Le Monnier, Firenze, 1988, p. 12).
Quanto al superstrato longobardo è ben attestato in numerosi prestiti lessicali (vedi sotto) e toponomastici (ad esempio Valdi è continuazione del longobardo “wald” col significato di bosco, selva).
Non sfugga al lettore che il sostrato e il superstrato del sammommeano sono gli stessi che possiamo rintracciare anche nel vernacolo cittadino pistoiese.

DIALETTO CONSERVATIVO OPPURE DIALETTO PONTE?
Abbiamo visto che il sammommeano presenta chiari elementi di origine settentrionale (pronominalizzazione obbligatoria del soggetto, negazione ridondante, dissimilazione di mm) e presenta altri due elementi di possibile origine settentrionale:
1) il sammommeano presenta la conservazione della desinenza dell’infinito. Questo è un carattere distintivo dei dialetti Nord Italiani rispetto al Toscano;
2) il sammommeano presenta una forma di gorgia toscana molto attenuata come in altre aree della Toscana settentrionale (ad esempio Pracchia) influenzate dalle parlate galloromanze.
Tuttavia il sammommeano non presenta il tipico, settentrionale, fenomeno della prostesi vocalica (pur ampiamente presente a Pistoia).
Quest’ultimo dato appare sicuramente in contraddizione con i precedenti. E’ da domandarsi, a questo punto, se il sammommeano non sia in effetti un dialetto conservativo. Una più attenta analisi del dialetto locale ci porta a queste tre conclusioni:
In primo luogo è possibile che il mantenimento degli infiniti in -re sia conservazione, dal momento che anche il latino li aveva. È il toscano che li ha eliminati. Il che significa che il mantenimento degli infiniti potrebbe essere non influenzato dal Nord Italia ma trattarsi semplicemente di un fenomeno di conservazione;
In secondo luogo l’assenza di prostesi vocalica nel sammommeano è chiaramente un fenomeno di conservazione (il Pistoiese ha la prostesi vocalica (arricordare,arcipresso, etc.) proprio per influsso dei dialetti settentrionali);
In terzo luogo la gorgia toscana potrebbe essere meno accentuata a San Mommè sempre per un fenomeno di conservazione e non di influenza settentrionale (anzi la gorgia toscana in quanto tale è un fenomeno di reazione nato in ambiente fiorentino alla sonorizzazione Nord Italiana. Il fiorentino più rustico infatti spirantizza non solo K (la hasa), ma anche T (la therra) e perfino la p (il saphone) guardacaso il Nord italiano sonorizza K (già un badese dice ca(s)gio per ca(s)cio), T (bolognese sdaac anziché staac >(staccio)), P (già un treppiese dice “ava” e non “apa” (ape)).
Lasciamo a chi legge la conclusione che ritiene più valida, ma da parte nostra preferiamo sposare una tesi banale: il sammommeano è un dialetto in parte influenzato dai dialetti settentrionali (ma non più di altri dialetti toscani) e dall’altro un dialetto con forti caratteri conservativi.
Usando le parole del celebre Prof. Luciano Giannelli (Università di Siena) “San Mommè, per certe cose, è una sacca di conservazione” (e – mail ricevuta il 12/11/2003).

Testo di A. Signorini (http://groups.msn.com/ALTORENOTOSCANO)