Storia della Pieve

La chiesa si presume sia stata fondata attorno al 1400. Il primo corpo dell’edificio è di piccole dimensioni, dalle tracce murarie infatti si nota che la prima chiesetta misura circa 7 m di lunghezza. I suoi muri vengono costruiti con grosse bozze di pietra e, come si può vedere ancora oggi, era assai bassa e sicuramente non coperta a volta e tutto il complesso prendeva luce da tre lunette.
Dobbiamo arrivare fino all’anno 1665 per poter avere dati sicuri circa le successive opere murarie effettuate nell’edificio. Anteriormente a questa data la struttura esistente viene allungata di altri 3,50 m ed è sicuramente di quel tempo l’affresco raffigurante la Vergine col Bambino tra i Santi.
Nel 1666 il parroco Giuliano Morelli erige il bell’altare in marmo policromo sacrificando, tuttavia, parte dell’affresco coprendone alcune parti.
Nel 1692 lo stesso parroco, e poi il suo successore Giovanni Morelli, erigono l’altare marmoreo laterale destro in seguito ad un ulteriore allungamento ed innalzamento del vano della chiesa dove, nel frattempo, vengono costruiti tre vani adibiti a sepolcreto, coperti con una volta a botte e sovrastati da una corsia in pietra.
Nel 1695 Giovanni Morelli costruisce il pulpito in marmo e lo colloca sul lato sinistro sopra la porta laterale, sacrificandone però la lunetta sovrastante.
All’anno 1696 risale la costruzione della balaustra e dei due gradini in marmo.
Nel 1702 viene eretto l’altare marmoreo sinistro e collocati nelle pareti del presbiterio i due tabernacoli in marmo; nel 1706 vengono costruiti anche l’altare maggiore ed i tre gradini in marmo su cui poggia.
Al 1709 risalgono i pilastri, le colonne ed il cornicione perimetrale in pietra e, successivamente, le arcate in pietra e la volta a botte sovrastante l’altare maggiore.
Il portale centrale in pietra viene costruito nel 1719, mentre le cornici dei confessionali, anch’esse in pietra, sono del 1720.
Negli anni 1717 e 1724 Giovanni Morelli sistema due pancali in legno ai lati del presbiterio e nel 1741 fa costruire il portico (che prima della costruzione della Cappella della Visitazione cingeva l’intero perimetro esterno della Pieve), con arcate a sesto ribassato sostenute da colonne in pietra e volte a crociera.
All’interno della Pieve si nota una tela di scuola Bolognese della fine del ‘600, raffigurante il martirio dell’Apostolo Matteo (foto 8). Questo dipinto viene posto dal parroco Giuliano Morelli sopra l’altare maggiore, ma nel 1966 viene rimosso dal parroco Antonio Turchi per riscoprire l’affresco (non datato) (foto 10) e viene collocato sull’altare di sinistra (foto 9).
Sopra l’altare di destra si trova una tela raffigurante alcuni santi ed un quadro della Vergine.
A sinistra dell’interno della facciata è inserito un battistero in pietra con coprifonte in legno ed un affresco raffigurante il Battista, il tutto risalente al 1700 (foto 11).
Nell’adiacente sagrestia soffittata in legno è visibile un bel banco settecentesco a muro ed un lavabo in pietra dello stesso periodo (foto 12).
Dell’anno 1994 ed opera dell’artista Pistoiese Vanni Melani è il bassorilievo policromo della “Passione di San Mamante” (foto 13), collocato sulla parte interna sinistra dell’ingresso della Pieve.

Tratto dal libro “San Mommè una storia” di Don Antonio Turchi.

Il Campanile

Non avendo notizie certe circa la data della costruzione del campanile, si presume da notizie d’archivio, che la data di edificazione risalga al finire del 1600.
E’ una salda costruzione in pietra dai muri massicci, ma di snella forma quadrangolare, con un perimetro di base di 18 m ed un’altezza di 23,70 m (foto 1).
Nella cella campanaria sono alloggiate due grosse campane (foto 2) datate anno 1812. L’esistenza di un capitello in pietra sporgente dallo stipite di uno dei finestroni, denuncia la presenza, in tempi antichi, di una terza campana di piccole dimensioni usata per indicare l’Angelus o l’Ave Maria.
La cella campanaria prende luce da quattro ampi finestroni con archi in cotto a tutto sesto ed è dotata di un orologio a movimento elettrico che oggi sostituisce il vecchio orologio meccanico pregevole manufatto toscano costruito completamente in ferro battuto del XVIII sec., che è ancora ben visibile in una bacheca collocata nella Cappella della Visitazione adiacente alla chiesa (foto 4).
Nell’agosto del 1928 fu fatta rifondere la campana maggiore lesionata da un fulmine (foto 5). Il costo del lavoro, sostenuto dalla Pro-Loco di allora, ammontò a 4.192 Lire.
Il cortile del Cocchi fu il centro di raccolta del bronzo e del rame destinato alla riparazione della settecentesca campana (foto 6). Le donne di S.Mommè offrirono oro ed argento (bracciali, anelli e monete), perché il suono fosse più limpido.

Tratto dal libro “San Mommè una storia” di Don Antonio Turchi.

La Cappella

Nell’archivio parrocchiale non si trova menzione della data esatta della sua costruzione, ma è sicuramente verso la fine del ‘700 che venne sacrificato il lato sinistro del portico della pieve di San Matteo ed in sua vece, fu eretta, la “cappella” che, a distanza di due secoli, la Soprintendenza ai Monumenti di Firenze ha ripristinato e restaurato.
L’interno dell’oratorio è semplice e spoglio. Il soffitto è a volta a crociera divisa in tre campate. Il pavimento è in cotto grezzo tagliato da una fascia laterale in pietra, costruito su tre ampi vani che fungevano da sepolcreto soprattutto per i meno abbienti.
L’altare si erige su due gradini di pietra e il postergale, accessorio ecclesiale di forma rinascimentale in stucco istoriato, sorregge una tela di ignoto (presumibilmente risalente al 1700) che raffigura la Vergine col Bambino tra Santi.
Sulla parte sinistra del presbiterio sono incassati due piccoli tabernacoli in pietra del 1730.
Una piccola tela di ignoto Toscano del XVII sec., raffigurante la visita di Maria Vergine a S.Elisabetta, pende dalla parete destra della piccola navata.
Dal 1979 sul lato sinistro del piccolo presbiterio è collocato l’ambone dedicato a Giovanni Paolo II, opera in cotto e pietra serena dello scultore V. Melani (foto 1).
Risale al 1978 il “Cristo Patiens della Montagna” opera scultorea in cotto dello stesso artista pistoiese, collocato sul lato destro dell’altare (foto 2).

Tratto dal libro “San Mommè una storia” di Don Antonio Turchi.

L’Organo

La scuola organaria pistoiese è stata considerata importantissima fino agli inizi del ‘900, quando la sua fama si offuscò… così rimase fino al 1971, quando con il restauro dell’organo Tronci del 1868 di San Niccolò Agliana fece riemergere la bontà e l’unicità della scuola pistoiese.
L’organo che si trova nella chiesa è un Agati – Tronci, risalente alla fine del XIX secolo con 56 tasti manuali, 16 tasti alla pedaliera, 16 registri ed una serie di altri accessori.
Lo strumento presenta tutte le caratteristiche dell’epoca e richiama come tipologia ed impostazione fonica quello di Corsanico (Lucca) ma, mentre quest’ultimo è molto più grande e presenta materiale proveniente da organi precedenti, il nostro strumento è straordinariamente unitario, opera di un’unica mano e testimonia l’alto livello qualitativo dell’arte organaria pistoiese. Vedendolo smontato se ne può ammirare l’accuratezza della fabbricazione dell’impianto, specialmente nel somiere e la ricercatezza della fattura delle canne.
Questo organo sostituì, non sappiamo precisamente quando, un organo di Filippo (II) Tronci, inaugurato nel 1823, di cui si da notizia nella “Gazzetta di Firenze” del 22 novembre e che, dalla breve descrizione ivi pubblicata, appare come uno strumento molto diverso dal nostro e, soprattutto, assai più grande, dotato di ben 30 registri.
L’attuale fu rimosso nel 1967 dalla parete di controfacciata per evitarne il crollo, date le precarie condizioni di una delle mensole lignee che sostenevano la cantoria. Negli anni sessanta molti organi posti sulle pareti di controfacciata delle chiese hanno subito lo stesso destino, per permettere alla navata di prendere luce dalla finestra che in genere era stata occlusa dallo strumento. A San Mommè la decisione, assunta per più onorevoli ragioni, ha purtroppo portato alla definitiva distruzione della cantoria, ma ha salvato l’organo, anche se la nuova collocazione, sulla parete opposta, nel vano destinato al coro dietro l’altare maggiore, ne mortificava la resa sonora e lo ha reso a lungo inservibile.
La fattiva determinazione del parroco Don Antonio Turchi, sostenuto dalla Pro Loco e da tutta la comunità parrocchiale, ha fatto sì che a partire dal 1996 si trovassero le risorse (donazioni sollecitate e reperite in loco più un sostanzioso intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e della Conferenza Episcopale Italiana) per iniziare il restauro dello strumento e, contestualmente, della nuova cantoria interamente pagata dalla popolazione e realizzata anch’essa in legno per accogliere di nuovo l’organo nella sua sede originaria.
La cassa, anch’essa fortunatamente integra, di legno verniciato bianco e con decorazioni dorate, è di semplice forma quadrangolare, con il fronte, da cui si affacciano le canne, scandito da quattro lesene con capitelli dorati; fogliami intagliati e dorati raccordano gli angoli in alto tra le lesene e alcuni fregi dorati sono dipinti nelle parte inferiore del fronte ove si apre il vano destinato all’organista; la cassa è stata interamente restaurata dagli abitanti del luogo con un lavoro paziente e certosino (foto 1, 2, 3, 4, 5, 6).
Il restauro del tardo, ma non per questo meno prezioso strumento fu affidato inizialmente alla ditta Ghilardi di Lucca, che ha restaurato il somiere, la meccanica, la manticeria e le canne di legno. Alla ditta Ghilardi è poi subentrato nel 2004 l’organaro giapponese Hiroshi Tsuji (foto 7) che ha ricostruito il materiale fonico scomparso (tutto il registro del Corno Inglese, una fila di Ripieno e alcune Trombe), ha restaurato le canne metalliche rotte o deformate, ha rimontato tutto il materiale fonico esistente accordandolo ed intonandolo (foto 8).

Tratto da un articolo di Francesca Nannelli e Umberto Pineschi.

Il Chiesino

L’oratorio di Pian di Ripalta nasce prima dell’anno 1000 a Savaiana dove in quegli anni i Longobardi stabiliscono il primo nucleo abitato di San Mommè. In origine è soltanto una piccolissima costruzione che a mala pena riesce a contenere un’immagine di San Mamante. Viene ingrandito non di molto ma sufficientemente per poter ospitare qualche fedele nel 1200 da un certo Michele di Ricevuto, ricco mercante della zona. Alla fine del 1600 viene ingrandito ulteriormente e l’oratorio viene dedicato alla Beata Vergine e denominato di “Santa Maria in Savaiana” o della “Beata Vergine di Ripalta”, viene costruito anche un campanile (che però deve aspettare fino al 1859 per avere due campane degne di questo nome) (foto 4). Nel 1700 viene costruito davanti all’ingresso un porticato, viene eretto al suo interno un altare, una balaustra in pietra, una volta di ispirazione rinascimentale, vengono portate delle panche, un’acquasantiera, un candeliere e viene installata una robusta porta in noce (foto 1). Col passare del tempo a causa dell’antichità di costruzione e della mancanza di adeguate e tempestive riparazioni l’oratorio subisce un lento ma costante processo di decadimento che lo porterà al limite del crollo fin quando, nel 1970, l’architetto Francesco Guerrieri della Soprintendenza ai Monumenti ne cura l’opera di restauro che riporta all’antico splendore tutta la struttura (foto 2).
All’interno dell’oratorio si nota un altare in pietra rivestito con mosaici in marmo del ‘600, una tela con santi e riquadro raffigurante la Vergine col Bambino di autore ignoto anch’esso del ‘600 e due quadri, uno del Prof. Del Moro e l’altro di Uliviero Ulivieri (1952).
La piccola sagrestia coperta con una bella volta a crociera evidenzia un caminetto in pietra del ‘700 che prima si trovava in una stanza sovrastante adibita a dimora dei sacerdoti, che in seguito ad un crollo non fu mai ricostruita anche per poter permettere una maggiore visibilità al pregevole campanile di orma secentesca.

Tratto dal libro “San Mommè una storia” di Don Antonio Turchi.